Costituzione di carta

Quale è il principale problema dell’Italia? E’ – secondo me – che la Costituzione non esiste più. E’ diventata un pezzo di carta, noto, per giunta, a una esigua minoranza di cittadini.

Irrita sentir parlare di modifiche alla Costituzione. A mio giudizio si potrà parlare di modifiche alla Costituzione solo dopo che l’attuale sarà stata compiuta, se non pienamente almeno in significativa percentuale.

Leonardo Sciascia (in una intervista facilmente reperibile su You Tube e che consiglierei di ascoltare) diceva: «Lo Stato, per me, è la Costituzione e la Costituzione non esiste più. Non esiste più nel senso tecnico, anche. Io l’ho sempre pensato che la Costituzione si fosse dissolta … » e fa riferimento al libro di Mario D’Antonio «La Costituzione di carta», edito da Giuffrè nel 1977.

Che la Costituzione sia un pezzo di carta, lo disse chiaramente Piero Calamandrei, nel suo memorabile discorso, tenuto a Milano il 26 gennaio 1955:

« … Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità …».

Calamandrei voleva, evidentemente, intendere che la Costituzione, per diventare viva e operante, deve essere il riferimento costante di tutti i cittadini e soprattutto degli eletti.

Vediamo cosa dice l’art. 34, che riporto integralmente:

«La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.»

Il «Fondo di integrazione per la concessione dei prestiti d’onore e delle borse di studio» è in caduta libera: nel 2008 era di 151,98 milioni di euro. Riducendosi anno per anno, si è arrivati a poco meno di 26 milioni nel 2011 e nel 2012 si prevede di ridurlo a 12,939 milioni.
Il conto è presto fatto: giacché gli aventi diritto sono 184034, ripartendo fra essi i 12,939 milioni di euro (previsti per il 2012) ognuno intascherebbe 70 euro e 30 centesimi (ovviamente per l'intero anno 2012, non certo alla settina o al mese). E’ questo l’epilogo oppure solo il 20% degli aventi diritto intascherà 351 euro e il restante 80% resterà a guardare?

Sicché – mi pare – possiamo recitare il de prufundis anche all’art. 34 della Costituzione.

                        Leonardo Sciascia (1921 - 1989)

 

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